esplora i fondali marini

Sfruttamento minerario dei fondali marini: pericolo o risorsa per il cambiamento green?

Lo sfruttamento minerario dei fondali marini è un argomento che sta attirando molte attenzioni.

fondali marini immagini
Elba Festo

Ma il deep sea mining mette in gioco problematiche ambientali, economiche e geopolitiche, soprattutto se consideriamo la corsa alle materie prime degli ultimi anni.

Sull’argomento il mondo è diviso in due. Da una parte chi sottolinea che abbiamo bisogno di questi minerali per sviluppare le ‘tecnologie verdi‘ (pannelli solari, batterie ecc.) e che estrarli dai fondali marini inquinerebbe meno rispetto a farlo sulla terra.

Dall’altra chi ricorda che ancora non conosciamo abbastanza l’ecosistema dei grandi fondali marini.

Dunque bisognerebbe evitarne lo sfruttamento prima di essere certi di non distruggere in modo irrimediabile una grande parte della natura, magari accelerando la catastrofe climatica.

Per questi motivi abbiamo chiesto un parere a Elba Festo, esperta in biologia marina, per fare chiarezza sull’argomento.

Parlando di sfruttamento minerario dei fondali marini, quali sono i rischi legati agli ecosistemi marini?

Ciò che mi spaventa maggiormente è proprio il fatto di non sapere quali saranno le conseguenze sull’ecosistema.

O meglio, possiamo intuire quali saranno alcuni degli effetti immediati, ma non abbiamo le conoscenze sufficienti per prevedere quanto saranno gravi. Le profondità oceaniche sono quasi totalmente sconosciute e inesplorate ed è per questo motivo che portare avanti il deep sea mining equivale a giocare con il fuoco.

La prima volta che ho visto un video dell’azienda canadese The Metals Company (DMC), dove viene simulato il processo di estrazione dei metalli abissali, sono rimasta sconvolta.

Il video mostra un’immagine delle profondità oceaniche totalmente fuorviante: una distesa di sabbia completamente piatta e priva di organismi.

Ecco, forse l’unica cosa che sappiamo con certezza del deep sea è che è molto diverso da quello che questa azienda cerca di farci credere. È un luogo ricco di vita, e il fondale è ricoperto di organismi che verrebbero uccisi istantaneamente al passaggio di una macchina estrattrice.

Inoltre, il fondale non è privo di ostacoli dunque verrebbe sostanzialmente spianato come in una spiaggia attrezzata per turisti.

In cosa consiste il pericolo di risospensione di sedimento dei fondali marini?

Uno dei pericoli associati al deep sea mining é la risospensione di sedimento. Quando esso viene sollevato, si distribuisce lungo la colonna d’acqua alterando la quantità di luce in grado di attraversarla e la distribuzione di materia organica e nutrienti.

Se il sedimento venisse aspirato in profondità e rilasciato in superficie, questo comporterebbe effetti catastrofici per tutta la fauna e la flora marina anche a bassa profondità. Alterando, per esempio, la possibilità degli animali di comunicare tramite la vista.

Ci sono organismi che verrebbero soffocati dal sedimento, come i filtratori. Altri che necessitano della luce per sopravvivere, come la maggior parte dei coralli e le fanerogame marine, che costituiscono due tra gli ecosistemi acquatici più importanti al mondo.

La risospensione avrebbe anche conseguenze notevoli su specie pelagiche di interesse commerciale, poiché il sedimento si diffonde a grandi distanze, influenzando negativamente il settore della pesca.

Un’altra conseguenza del deep sea mining è la creazione di inquinamento luminoso e sonoro, che possono alterare il comportamento di molte specie influenzandone il successo riproduttivo.

Alcune specie probabilmente andranno incontro a estinzione a causa della distruzione degli habitat profondi associata all’estrazione dei metalli. Questi ecosistemi necessiteranno di secoli per recuperare, se mai questo si verificherà.

Secondo IUCN (Unione internazionale per la conservazione della natura), il deep sea mining potrebbe anche alterare o limitare il processo di sequestro del carbonio che si verifica nel mare profondo. Si ridurrebbe così  l’abilità di questo sistema di tamponare l’aumento della temperatura globale associata all’eccesso di gas serra.

Quali sono le materie prime nel mirino dell’estrazione dei fondali marini? Perchè sono così importanti? 

Per deep sea si intende tutto il fondale marino che si trova al di sotto dei 200m di profondità ovvero la stragrande maggioranza dell’oceano (circa 2/3 di tutto il fondale si trova a profondità maggiore di 200m). Esso è ricco di metalli come rame, nickel, zinco, cobalto, ma anche oro ed elementi rari che sono importanti nella transizione energetica verso un mondo con minori emissioni.

Il deep sea mining mira specialmente alla raccolta dei noduli polimetallici. Si tratta di piccoli corpi sferoidali delle dimensioni di una pallina da tennis che si formano durante milioni di anni nelle profondità marine.

La prima volta, sono stati osservati negli anni 70 del ‘900 dal Challenger, ma solo più recentemente si è compreso il potenziale economico di queste formazioni. Per raccoglierli, verranno utilizzate delle macchine che assomigliano a dei trattori, le quali aspirano tutto ciò che si trova sul fondale per portarlo in superficie.

Il materiale di scarto, che comprende sedimento e materia organica, verrà ripompato nella colonna d’acqua. Oltre ai noduli polimetallici, materiali preziosi sono anche contenuti nei sulfidi polimetallici, che si trovano spesso vicino alle sorgenti idrotermali profonde.

Non sono sufficienti i giacimenti terrestri?

Per quanto riguarda la terraferma, non è che i depositi terrestri non bastino. Il problema è che i metalli preziosi sono sparsi sulla terra in giacimenti difficili da trovare. A volte, la presenza di elementi è così infinitesima che non vale la pena investire per estrarli.

Molti metalli, per esempio, formano sottilissime vene sotterranee difficilmente accessibili all’uomo. Nel deep sea, invece, i metalli sono concentrati e abbondanti in formazioni e zone relativamente circoscritte.

I sostenitori del deep sea mining pensano che esso sia fondamentale per soddisfare le crescenti richieste di metalli per la costruzione di batterie e tecnologie a zero impatto.

In effetti, il World Resources Institutes ha stimato che la richiesta dei minerali di interesse per il deep sea mining
potrebbe aumentare fino al 600% nei prossimi anni.

Di recente però, numerosi scienziati hanno messo in dubbio l’affermazione secondo la quale solo grazie all’apporto di metalli estratti dagli abissi sarebbe possibile la transizione energetica.

Prima di poter iniziare a estrarre metalli dal fondale oceanico, è di vitale importanza capire come limitare l’impatto che questo processo avrà sugli ecosistemi. Probabilmente, sarà impossibile rendere questo processo sostenibile. I noduli polimetallici necessitano di migliaia di anni per riformarsi e il deep sea mining distruggerà più di un ecosistema.

Nello stesso momento in cui avremo capito poco di più di quello che sappiamo oggi del deep sea, avremo già sviluppato tecnologie migliori per il riciclo dei metalli che usiamo attualmente sul pianeta.

Iniziare il deep sea mining nei prossimi anni è un precoce e pericoloso salto nel vuoto. La tecnologia continua a evolversi e mi auguro che il deep sea mining perda presto il suo fascino, visti i costi e i rischi a esso associati.

È vero che molti di questi progetti di estrazione sono spacciati per ‘ricerche scientifiche’, ma la finalità è tutt’altra?

Chi promuove il deep sea mining porta avanti una sorta di greenwashing per convincere le persone dei lati positivi di questa attività.

Facciamo un esempio. La raccolta dei metalli permetterà sicuramente di osservare specie sconosciute e perlustrare aree mai viste del fondale oceanico, considerato quanto poco il deep sea sia stato esplorato fino ad ora.

Il problema è che i macchinari per il mining aspireranno tutto ciò che si troveranno davanti. Compresi gli animali appartenenti alle specie sconosciute del deep sea condannandoli all’estinzione prima ancora che vengano descritti dalla scienza.

Da quanto tempo va avanti lo sfruttamento dei fondali? Quali sono i principali Paesi a favore e quali quelli contrari? Esistono attualmente dei giacimenti in uso?

Fino a oggi si sono solamente verificate delle spedizioni per capire come ottimizzare il processo estrattivo. Tuttavia, il deep sea mining a scopo commerciale non è ancora ufficialmente iniziato.

pesci fondali mariniChi si occupa di assegnare i contratti per l’esplorazione del fondale è l’International seabed authority (ISA), che è stata istituita nel 1994 per regolare le attività che si svolgono nell’Area, ovvero il fondale marino in acque internazionali.

Ad oggi sono stati assegnati 19 contratti per l’esplorazione dei noduli polimetallici, la maggior parte nella zona Clarion-Clipperton tra Hawaii e Messico; 7 contratti per esplorare i sulfidi polimetallici e 5 contratti per esplorare crosta ricca di cobalto nel Pacifico occidentale.

I paesi coinvolti in queste esplorazioni comprendono Cina, Russia, Giappone, India, Francia, Germania, Sud Corea e Brasile.

Nel 2021, l’isola nazione di Nauru, che si trova nel Pacifico, ha informato l’ISA di voler iniziare a estrarre nelle acque internazionali invocando la cosiddetta ‘regola dei due anni‘.

Questa normativa prevede che l’International Seabed Authority consideri la possibilità che Nauru inizi il mining entro due anni da quando la nazione ha presentato il suo progetto. Ovviamente, senza che sia ancora stato elaborato un elenco di regole specifiche su come procedere e su come garantire la sostenibilità dell’attività estrattiva.

I due anni sono scaduti a luglio 2023. Tuttavia, siamo ancora ben lontani dall’avere una regolamentazione che garantisca il successo e la sostenibilità del deep sea mining.

Oltretutto, trattandosi di acque internazionali, risulta ancora più complesso capire come regolamentare l’attività
dei diversi stati e chi accusare se qualcosa non dovesse andare come previsto durante le estrazioni dei fondali marini.

Ancora niente ‘via libera’

Ad oggi, l’ISA non ha dato il via libera allo sfruttamento dei fondali profondi per l’estrazione dei minerali.

La posizione di molti Paesi nei confronti del deep sea mining non è chiara. Alcuni sono contrari, altri sostengono una moratoria fino a che le conoscenze scientifiche non saranno sufficienti da permettere di agire in maniera più sicura.

Alcuni non mirano a iniziare a estrarre quanto prima possibile. Tra questi, Francia, Repubblica Dominicana, Vanuatu, Cile, Costa Rica, Ecuador, Micronesia, Nuova Zelanda, Panama e Spagna.

Ci sono numerosi gruppi di ambientalisti, come GreenPeace, che si oppongono al processo.

Il settore della pesca si è già reso conto degli effetti catastrofici che il deep sea mining avrà sulla disponibilità di specie di interesse commerciale. Sono state firmate numerose petizioni per impedire l’avvio dell’estrazione mineraria nel deep sea.

Nel frattempo alcuni stati potrebbero iniziare a raccogliere metalli nelle loro acque territoriali. Questo perchè non è stato concessa la possibilità di iniziare il deep sea mining in acque internazionali. Tra questi stati, pare che Norvegia e Giappone siano quelli che vorrebbero iniziare a breve.

Nauru, il Messico e la Cina continuano a spingere l’ISA a maturare al più presto un set di regole per poter finalmente iniziare il deep sea mining.

 

 

Foto di Francesco Ungaro: https://www.pexels.com/it-it/foto/natura-animali-pesce-subacqueo-17952817/

Foto di Sebastian Voortman: https://www.pexels.com/it-it/foto/specchio-d-acqua-durante-l-ora-d-oro-189349/

About Umberto Urbano Ferrero

Umberto Urbano Ferrero, collaboratore - Torinese d’origine, cittadino del mondo per credo. Laureato in Lettere moderne, ama l’arte in tutte le sue forme e viaggia per conoscere il mondo, oltre che se stesso. Umberto è appassionato di sport e Urbano, al contrario di ciò che l’etimologia suggerisce, apprezza la vita a contatto con la natura. Ritiene la curiosità una delle principali qualità in una persona, caratteristica essenziale per guardare il mondo da più angolazioni.

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