Piante nello spazio e più spazio alle piante

Coltivare un orto nello spazio non è più soltanto fantascienza

Prima ancora di parlare di un possibile orto nello spazio, la cultura cinematografica ci ha affascinati e incuriositi molte volte narrandoci su pellicola di colonie spaziali, extraterrestri, guerre stellari, e tutto ciò che la fantasia può afferrare.

Tuttavia, la vita stessa, per come la conosciamo, insieme a moltissimi altri fattori ed elementi, è possibile anche grazie alle piante e alla loro fotosintesi, che depura l’aria permettendoci di respirare ossigeno.

Se immaginiamo la vita extraterrestre, che si tratti di una colonia spaziale o di un viaggio a milioni di km dalla Terra, il ruolo delle piante è, quindi, fondamentale.

Per questo motivo molti ricercatori stanno studiando come coltivare nello spazio per supportare la vita degli astronauti: dall’alimentazione, al consumo di acqua e ossigeno.

Ma, tuttavia, è corretto pensare a un orto nello spazio come possiamo immaginarlo noi, o le soluzioni sono diverse?

Un orto nello spazio? La Stazione Spaziale Internazionale

La Stazione Spaziale Internazionale è una piattaforma per la ricerca scientifica che orbita intorno alla Terra.

La sua attività è gestita come progetto congiunto da cinque diverse agenzie spaziali: la NASA (Stati Uniti), la RKA (Russia), l’ESA (Europa), la JAXA (Giappone) e la CSA-ASC (Canada).

Dal 20 novembre del 2000 è operativa e al suo interno vivono dai 2 ai 7 astronauti, a seconda dei periodi.

Un sistema di supporto vitale provvede a controllare a bordo lo stato della pressione, dell’ossigeno e dell’acqua, e di molto altro ancora.

Parlando delle risorse idriche e alimentari le cose non sono semplici. La Stazione si trova a 400 km dalla Terra, e ciò consente di inviare rifornimenti in 4 ore, ma l’approvvigionamento non può essere continuo. L’acqua, per esempio, può essere riciclata dall’urina e dal sudore, e un astronauta può arrivare a bere oltre 500 litri all’anno di acquadepurata” in questo modo.

Per quanto riguarda il cibo, invece, ogni astronauta ha a disposizione una piccola porzione di “bonus food”, vale a dire del cibo che può portare dalla Terra. Possono essere pietanze di ogni tipo: pesce, verdure, lasagne e molto altro ancora. Il resto, solitamente, è cibo liofilizzato.

Un piccolo orto nello spazio, a bordo di un’astronave

Piante nello spazio e più spazio alle piante
Stefania De Pascale

Come si inseriscono in tutto questo le piante?

“A bordo della Stazione Spaziale Internazionale si coltivano dei microgreens (micro ortaggi) per integrare l’alimentazione degli astronauti“, commenta Stefania De Pascale, Professore Ordinario
di Orticoltura e Floricoltura all’Università degli Studi di Napoli Federico II e responsabile del “Laboratorio di Ricerca sulle piante per lo Spazio”, dedicato alla caratterizzazione delle piante per i sistemi rigenerativi di supporto alla vita.

Questi micro ortaggi sono una via di mezzo tra una pianta adulta (pensiamo a un’insalata) e dei germinelli (piante germinate da poco), e hanno un alto valore nutraceutico. Inoltre, spiccano per colore e gusto intenso, infatti sono usati anche da alcuni chef stellati. Sono quindi perfetti per supportare la dieta degli astronauti specialmente se si considera che, in una condizione definita di “microgravità” a bordo della navicella spaziale, il sapore degli alimenti può risultare alterato al palato. In poche parole, si sente meno il gusto del cibo.

Viaggi spaziali? Sono le piante a permettere la vita

L’ultima frontiera dei viaggi spaziali è rappresentata dalle missioni a lungo termine. Per esempio, per arrivare fino al pianeta Marte servirebbero più di 500 giorni.

Come fare, in questo caso, con i rifornimenti di acqua, cibo e ossigeno?

Il progetto europeo MELiSSA si sta occupando da 30 anni proprio di questo, vale a dire di realizzare un sistema biorigenerativo di supporto alla vita. La replica artificiale di un ecosistema naturale. In parole povere, un sistema chiuso autosufficiente, autonomo per la produzione di cibo, acqua e ossigeno, in grado di riciclare il materiale di scarto e di garantire la vita di “consumatori”. Il tutto, ovviamente, grazie all’azione di piante e microrganismi. Questo sistema non è così lontano dalla realtà. Infatti, a Barcellona, alcuni ricercatori del gruppo MEliSSA stanno conducendo degli esperimenti ma, a differenza di futuri umani, “l’equipaggio” è costituito solamente da topolini.

Quanto “consuma” un astronauta?

Il progetto MELiSSA ha previsto un bisogno medio di 5 kg per ogni astronauta: 1 kg di ossigeno, 1 kg di cibo disidratato, 3 kg di acqua per bere, reidratare il cibo e per l’igiene personale. L’acqua per lavarsi, inoltre, è da intendere per semplici panni inumiditi. Se si volesse utilizzare più acqua (quella che utilizziamo a casa per l’igiene personale), il fabbisogno si alzerebbe a oltre 12 litri giornalieri.

Andando più nello specifico, un sistema biorigenerativo in grado di permettere la vita, in maniera semplice e schematica, sarebbe costituito da 3 compartimenti.

  • Compartimento dei produttori. Un compartimento costituito da alghe e piante destinate alla produzione di cibo per sostenere una dieta a lungo termine degli atronauti. Si parla, quindi, di grano, riso, patate, legumi e molto altro. Le piante e le alghe, inoltre, potrebbero sopperire alla produzione di ossigeno con la fotosintesi e alla produzione di acqua mediante traspirazione.
  • Compartimento dei degradatori. Il compito di degradare e riciclare la materia organica di scarto, sarebbe affidato ad alcuni batteri e microrganismi che, per loro natura stessa, svolgono queste funzioni.
  • Compartimento dei consumatori. L’equipaggio umano occuperebbe l’ultima “stanza”, usufruendo di queste risorse e inserendosi in coda a questo sistema chiuso e ciclico.

Colonie spaziali: è possibile coltivare un orto nello spazio?

Se dovessimo riuscire a creare delle stazioni orbitanti attorno a Luna o Marte, grazie a questi sistemi biorigenerativi, sarebbe anche plausibile creare delle colonie spaziali su questi pianeti?

La vita, per come la conosciamo noi sulla Terra, dipende da moltissimi fattori. Acqua, ossigeno, carbonio, determinate temperature e moltissimo altro ancora.

“Anche in questo caso, le piante potrebbero essere utilissime a supportare la vita umana, poichè in grado di sopperire a molte di queste necessità”, commenta De Pascale.

Quindi basterebbe costruire “una serra” o un vero e proprio “orto nello spazio” su Marte?

“La risposta è no. Non possiamo pensare alle serre agricole o agli orti che conosciamo, ma a spazi chiusi e protetti, quasi dei piccoli laboratori“, continua De Pascale.

Marte, come molti altri pianeti, non è un luogo così ospitale. Bisogna considerare la presenza di radiazioni solari 700 volte maggiori rispetto a quelle che arrivano sulla Terra. L’atmosfera di Marte, infatti, non fa da scudo come quella che avvolge il nostro pianeta. Il suolo, come se non bastasse, non è costituito dagli elementi che sulla Terra lo rendono fertile.

Come fare, quindi? Bisognerebbe scavare delle “camere sotto terra, utilizzando la regolite ( il suolo marziano, composto da sedimenti e polvere), solo come supporto fisico per la crescita delle piante. E, tuttavia, andrebbero integrati fosforo, azoto, potassio, calcio, magnesio e molti altri elementi chimici per renderlo fertile.

Infine, sarebbero necessarie delle luci artificiali dal momento che le piante non potrebbero giovare dei raggi solari.

Una vera e propria sfida ma, potenzialmente, un progetto per creare zone in cui è possibile la vita su altri pianeti e, da li in avanti, per condurre nuove ricerche.

“I primi colonizzatori dovranno essere ottimi agronomi“, scherza Stefania De Pascale.

E chissà, con un tocco di ironia, se in futuro troveremo al supermercato in offerta dei pomodorispaziali“.

Dallo spazio alla Terra: nuove tecnologie per consumare l’1% di acqua

Per quale motivo pensare così tanto alle ricerche spaziali, se di problemi riguardanti l’agricoltura ne abbiamo già abbastanza sulla Terra?  Questa è una domanda che potrebbero farsi in molti.

Tuttavia, non tutti sanno che alcuni esperimenti e ricerche condotti nello spazio hanno giovato al progresso tecnologico anche sul nostro pianeta.

Piante nello spazio e più spazio alle piantePer esempio, alcuni studi della NASA, la famosa agenzia spaziale americana, riguardanti nuovi sistemi per coltivare sulle stazioni spaziali, hanno aperto la strada all’indoor farming e al vertical farming.

Il primo sistema, che si traduce in agricoltura al chiuso, ottimizza la crescita delle piante massimizzando lo spazio di produzione delle stesse in coltivazioni verticali.

Il modello di indoor farm della NASA, infatti, può arrivare a utilizzare l’% dell’acqua che la stessa produzione richiederebbe utilizzando sistemi tradizionali di coltivazione. Tutto ciò, grazie a sistemi di illuminazione artificiale, e a flussi controllati e costanti di piccole quantità d’acqua contenente i nutrienti necessari per la crescita delle piante.

“In futuro potremmo trovare risposte per coltivare in ambienti desertici, ai Poli e nelle megalopoli sul nostro pianeta. Perchè se la sfida è trovare soluzioni in un ambiente ostile e privo di vita come lo spazio, sulla Terra potrebbe risultare molto più semplice“, conclude De Pascale.

In definitiva, qualcosa di simile a orti nello spazio e, forse, anche più spazio alle piante sulla Terra.

 

 

 

 

 

 

 

Copertina: foto di Pixabay: https://www.pexels.com/it-it/foto/astronauta-americano-nello-spazio-2156/

Foto di ThisIsEngineering: https://www.pexels.com/it-it/foto/agricoltura-laboratorio-ricerca-scienza-3912509/

About Umberto Urbano Ferrero

Umberto Urbano Ferrero, collaboratore - Torinese d’origine, cittadino del mondo per credo. Laureato in Lettere moderne, ama l’arte in tutte le sue forme e viaggia per conoscere il mondo, oltre che se stesso. Umberto è appassionato di sport e Urbano, al contrario di ciò che l’etimologia suggerisce, apprezza la vita a contatto con la natura. Ritiene la curiosità una delle principali qualità in una persona, caratteristica essenziale per guardare il mondo da più angolazioni.

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